La seconda ondata di pandemia in Spagna è arrivata molto prima di noi. Forse osservare come il virus viaggia in queste regioni può insegnarci qualcosa, anche se la curva di contagio segue traiettorie imprevedibili in diversi paesi.
Per capire come viaggia il virus, e quali eventuali restrizioni adottare, uno degli indicatori da approfondire è la percentuale di posti letto occupati in terapia intensiva, perché è su questo fronte che si capisce se il sistema sanitario può farcela o meno (COVID: AGGIORNAMENTI IN DIRETTA – LO SPECIALE). Cosa ci dice l’esempio dei paesi in cui è scoppiata la seconda ondata prima di noi?
In Spagna, più infezioni ma resiste in terapia intensiva
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Prendilo Spagna. Il tasso positivo è stato costantemente superiore al 10% per più di un mese. Una media non ancora raggiunta in Italia (L’ULTIMO BOLLETTINO – LA GRAFICA). Parallelamente è aumentato il numero dei posti occupati in terapia intensiva, ma senza alcuna impennata, da poco più del 15 al 21%. Questa è una media nazionale: alcune regioni (come Madrid) sono ben al di sopra. Ma nel complesso, il tasso non è ancora a questi livelli di allerta (qui la soglia è del 30%). È vero che nel frattempo in Spagna sono stati creati 550 posti di lavoro in più, ma anche senza di essi il tasso sarebbe del 23,4%, anche qui sotto la soglia di allarme.
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In Italia siamo ormai vicini al 15% in termini di tasso di occupazione in terapia intensiva (LA SITUAZIONE). Quindi possiamo sperare che, se le cose seguono i ritmi spagnoli, tra un mese saremo ancora lontani dai livelli di allarme? Dipende. La Spagna può contare su molti più letti di terapia intensiva di noi: ha quasi 9.000, circa 20 ogni 100.000 abitanti. Qui, per una popolazione più numerosa, sono poco più di 6.600 persone. Corrispondono a circa 11 ogni 100.000 abitanti. In proporzione quasi la metà di quelli in Spagna. Ci avvicineremmo ai livelli di Madrid se, ad esempio, attivassimo tutti i letti previsti dal decreto di rinascita e convertissimo le terapie semi-intensive. La battaglia per evitare ulteriori restrizioni, insomma, coinvolge anche la capacità del sistema sanitario di ampliare la disponibilità di posti letto e personale di terapia intensiva. E l’esempio spagnolo non ci rassicura necessariamente.
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