I professionisti vengono inviati ad arbitrare le partite per i bambini che altrimenti dovrebbero saltare. Trentalange: i genitori ci dicono “da quando arbitrava il mio figlio migliore, ma la domenica abbiamo paura”. La soluzione è la doppia adesione
Settembre 2021, Cus Torino contro Resistenza Granata, Campionato di Terza Serie: il primo – o l’ultimo – livello del calcio italiano, sotto non c’è niente. Arbitro: Marco Serra. Lui, il sansiro, dal fischio frettoloso, del Milan battuto (anche) dallo Spezia per un gol ingiustamente annullato. Quattro mesi fa era su un campo di Torino e il protagonista della partita era lui, non Ibra, tanto che alla fine i giocatori lo hanno fermato: scusa, puoi farti un selfie con noi?
L’Aia, l’Associazione Italiana Arbitri, quel fine settimana aveva mandato via Serra e altri venti suoi colleghi per le dirette in periferia. Ci sono due ragioni. Per prima cosa manda un messaggio: c’è il massimo rispetto anche per i leghisti minori. In secondo luogo, per colmare una lacuna: se i professionisti del fischietto non si fossero mossi, questi giochi amatoriali e per bambini non sarebbero stati giocati. Come mai? Perché non c’erano più arbitri. Finito. Ripristina.
In cinque anni sono scomparsi quattromila arbitri. Nel 2016 erano 33.000, all’inizio di questa stagione ne restano 29.000. Crisi vocazionale, si dice. È colpa del Covid? Inoltre, ovviamente. E i rimborsi: bassi, quasi ridicoli, in media 30 euro a partita tutto compreso.
Ma non è l’unico problema. Dai la colpa ai colpi, alla violenza, alla paura. I genitori vengono alle sezioni e ci dicono: da allora mio figlio è stato un arbitro più calmo, più riflessivo a scuola, più ordinato a casa. E tra voi ha trovato nuovi amici. Perché non possiamo mandarlo nei campi e vivere ogni domenica con il terrore di essere chiamati al pronto soccorso. Alfredo Trentalange, Presidente dell’Aia da meno di un anno – da quando ha posto fine con successo all’interminabile (e discusso) regno di Nicchi decennale – racconta una realtà di cui molti non si rendono conto, o fingono di non rendersene conto, ma che rischia di mettere in seria difficoltà l’intero movimento. Perché per giocare a calcio, a tutti i livelli, gli arbitri sono fondamentali, un po’ come il pallone. E se non ci sono, non giocare.
I numeri delle violenze subite dagli arbitri sono ancora impressionanti in questa stagione, anche se fortunatamente c’è un calo rispetto al recente passato. A dicembre gli episodi erano già stati 85; in 4 di queste situazioni la vittima era una donna. Si sono verificati 25 atti gravi, che hanno portato a 126 giorni di prognosi prescritta dalle emergenze sparse in tutta Italia. Sì, perché la violenza non conosce confini: 12 episodi in Campania, 10 in Piemonte, 9 in Toscana, 8 nel Lazio, 7 in Lombardia e Umbria. E può raggiungerti da qualsiasi luogo: calciatori (47), dirigenti (29), anche estranei (9), e tra questi ultimi i genitori.
Crisi vocazionale: come combatterla? Da questa stagione si sperimenta un nuovo percorso, almeno per il nostro calcio (non per l’inglese né per il basket, che hanno già percorso da tempo e con successo): doppia adesione. In pratica può arbitrare anche un ragazzo che gioca a calcio, dai 14 ai 17 anni. Si amplia così, innanzitutto, la possibilità di trovare ufficiali di gara: se un adolescente deve scegliere tra giocare e arbitrare, è quasi certo di scommettere sulla prima possibilità; se può fare entrambe le cose, è tentato dal fischio. C’è anche una questione culturale ed educativa. L’arbitro è sempre visto come un altro, come il nero. Ma quando un giovane calciatore entra nello spogliatoio e racconta la sua diversa esperienza, avvicina i compagni al ragazzo che la domenica successiva si occuperà della partita. E poi questo può spiegare i regolamenti perché – ammettiamolo – quasi nessuno li ha mai letti, aggiunge Trentalange. L’impatto della doppia adesione è interessante, ma non ancora significativo in termini numerici: una decina di giovani hanno approfittato di questa opportunità, di cui un paio di donne, e tutti sono soddisfatti. Il prossimo passo sarebbe incoraggiare i club a registrare gli arbitri di calcio: questo sta accadendo in Inghilterra.
Una frase di Ibrahimovic è rimasta nella mente di Trentalange. Disse che in passato era sceso in campo contro dodici nemici: gli avversari e l’arbitro. E chi ora ha cambiato idea. Se ne accorge Serra, consolato anche da Zlatan dopo l’errore fatale di Milan-Spezia. Dobbiamo umanizzare la figura dell’arbitro, perché non siamo tutti presuntuosi e arroganti come ci presentano. Anche se non siamo infallibili.
20 gennaio 2022 (modifica 20 gennaio 2022 | 07:22)
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