Tasse, 9 milioni di cartelle in arrivo. E torna l'ipotesi della "pace fiscale"

Tasse, 9 milioni di cartelle in arrivo. E torna l’ipotesi della “pace fiscale”

L’argomento è considerato quasi un tabù. Il clamore politico che rischia di sollevare è troppo alto. Ma all’interno del governo i ministri ei tecnici più astuti hanno cerchiato sul calendario con la matita rossa una data: 15 ottobre. Non è solo il termine per l’invio della legge di bilancio per il 2021 a Bruxelles con, si spera, l’allegato Piano di recupero. Quel giorno finirà anche la moratoria sui conti fiscali decisa dal governo nei mesi del confinamento e poi esteso. Se non succede nulla, il 16 ottobre ilAgenzia delle Entrate dovrà inviare quasi 9 milioni di lettere e Pec (di cui 6,8 milioni lavorate nei mesi del Covid), per chiedere il pagamento dell’importo dovuto. Insomma, una valanga di atti colpirebbe piccole imprese, partita iva e contribuenti, già indeboliti dalla crisi economica e dalla carenza di liquidità. Insomma, il timore è che possa esplodere una sorta di “bomba sociale” difficile da gestire. Il ragionamento che comincia a farsi strada nel governo, quindi, è trovare una via d’uscita. Ma quale? Certo, potresti estendere il blocco e spostare l’invio delle cartelle ancora in avanti. Ma prima o poi il nodo dovrebbe essere sciolto. Cominciamo quindi a pensare a un’altra ipotesi: una nuova pace fiscale, uno rottamazione delle cartelle del 2019 e del 2020. Inoltre, si fa notare negli ambienti tecnici, è stato fatto quando non c’erano emergenze.

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LE RAGIONI
Oggi le ragioni ci sarebbero. Non solo il Paese è nella più grande crisi del dopoguerra, ma è alle porte una riforma fiscale che potrebbe permettere di chiudere molti conti con il passato. Anche forse cancellando una parte ormai inesigibile di quello stock di cartelle che ora vale mille miliardi ma che, lo sanno tutti, è totalmente inesigibile per due terzi. Intanto proseguono i lavori per la struttura dell’imposta sul reddito delle persone fisiche presso il Ministero del Tesoro. Sul tavolo c’è un taglio a forbice alle aliquote, ridotte dagli attuali 5 a 3, una semplificazione del sistema delle agevolazioni fiscali con l’introduzione del “modello tedesco”, una correzione del bonus di 80 euro, attualmente viziato da alcuni inconveniente tecnico e, come contorno, una revisione dell’IVA. L’Irpef del futuro è un dossier con tante incognite ma con tre punti fermi nella testa di Roberto Gualtieri. Il ministro dell’Economia punta ad applicare una strategia chiara: ridurre le tasse partendo dalla classe media ridisegnando la curva dei prelievi. Nelle planimetrie del numero uno del dipartimento di via XX Settembre c’è, infatti, l’annullamento di due aliquote (non tutte subito, ma per moduli) con una sostanziale revisione delle classi di imposta. È impossibile, al momento, fissare il livello delle aliquote future (oggi posizionate al 23, 27, 38, 41 e 43%), ma chi lavora al progetto anticipa che, ovviamente, la tariffa inferiore verrà ridotta di 1-2 punti. Per finanziare la riforma fiscale si cercano almeno 15 miliardi di euro: una cifra che dovrebbe emergere soprattutto da una riqualificazione delle agevolazioni fiscali, i bonus attraverso i quali gli italiani riducono l’onere delle tasse da pagare.

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IMPORTO DELLE TARIFFE
Altro punto fermo: l’unificazione delle tariffe sarà effettuata in modo tale da annullare il paradosso legato all’allargamento del bonus Renzi da 80 a 100 euro per chi guadagna fino a 28mila euro e per chi possiede il nuova detrazione per reddito fino a 40mila euro. Per la riduzione del cuneo fiscale sugli stipendi dei dipendenti sono stati stanziati 3 miliardi di euro per il 2020. Il numero dei beneficiari, compresi i dipendenti privati ​​e pubblici, aumenta così di 4,3 milioni, passando da 11,7 milioni. ricevere il bonus Renzi per 16 milioni di lavoratori. Il meccanismo, tuttavia, porta con sé un fastidioso inconveniente con pesanti ricadute sui tassi marginali effettivi. Infatti, per chi percepisce un reddito compreso tra 28mila e 35mila euro, il tasso marginale sale al 45%, contro i precedenti 41. E tra 35 e 40mila euro si arriva fino al 61%. Una percentuale molto superiore al tasso legale più alto, quello del 43% che si applica ai redditi superiori a 75mila euro. Cosa significa questo? Che non c’è incentivo a lavorare di più, perché non ne vale la pena. In effetti, con un aumento dei salari, ci sono addirittura 900.000 lavoratori. Una distorsione alla quale vogliamo porre rimedio.



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